E’ di pochi giorni fa la notizia che il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il progetto di regolamentazione che porrà fine alla vendita dei veicoli nuovi a motore termico, a partire dal 2035. Un accordo definito “storico”, che non ha mancato di dividere. I voti a favore sono stati infatti 340, 279 quelli contrari e 21 le astensioni.
Si tratta di un passo importante che riconcilia mobilità e salute pubblica e tanti sono gli aspetti positivi.
Effettuare la transizione ecologica consentirà di conservare molti più impieghi e mantenere molta più ricchezza rispetto all’ipotesi di un’inazione climatica.
In secondo luogo, l’industria automobilistica si è già da tempo attrezzata per il cambiamento. Gli investimenti e la ricerca sono già concentrati sui motori elettrici: in questo senso i produttori non hanno atteso le decisioni di Bruxelles.
Terzo, perché anche se i punti uno e due non fossero veri, non è accettabile barattare soldi o strategie industriali con la vita di uomini, donne e bambini.
Ma non mancano le criticità legate a questa svolta epocale. Non si può però imporre una rivoluzione nella mobilità senza prevedere ammortizzatori sociali forti e mirati e sarebbe un errore imperdonabile non sfruttare la transizione per irrobustire, ampliare, rendere più efficienti, sicuri e capillari i mezzi di trasporto pubblico. Sostenere e diffondere i veicoli “alternativi”, a partire dalle biciclette. Permettere alla cultura dello “sharing” di penetrare, finalmente e definitivamente, nelle nostre società.
La seconda criticità che sorge dopo la decisione di superare i motori termici è legata invece alla coerenza. Le auto elettriche sono dotate di batterie, al cui interno si immette energia. Come noto, in loco questi mezzi non producono quasi nulla in termini di agenti inquinanti. Ma se non ci chiediamo in che modo abbiamo prodotto quell’energia con cui ricarichiamo le batterie, dal punto di vista del bilancio climatico rischiamo di generare un’enorme partita di giro.
Ma per far sì che questa svolta green diventi vantaggiosa per tutti, servirà dunque coerenza, appunto: la transizione ecologica deve riguardare ogni aspetto dei nostri sistemi di produzione. E forse sarà la volta buona che avremo il coraggio di mettere in discussione questo modello di sviluppo. Perché è proprio questo modello di sviluppo che ci ha portati (sia socialmente che dal punto di vista ambientale) a questo punto. A costringerci a porre rimedio, a caro prezzo, e in fretta e furia.